Testa in Calabria, affari in Lombardia


Non è possibile capire quello che avviene nell’economia criminale controllata dalla ‘ndrangheta a Milano senza avere davanti l’immagine della madonna di Polsi, piccola frazione di San Luca, Aspromonte. Le dinamiche, gli affari, i contatti pervasivi con la politica lombarda e quella potenza di fuoco immensa espressa da un esercito di cinquecento affiliati, divisi in venti locali, tutto questo perderebbe di senso se separato dai profumi degli aranceti, dove gli anziani dei locali di ‘ndrangheta della Calabria nominano i mastri e i capi locali, approvano le alleanze e le strategie. O dove vengono decise le doti, i gradi della complessa gerarchia ‘ndranghetista, trama atavica che garantisce l’osservanza delle regole dell’organizzazione.


E’ il livello politico della ‘ndrangheta, in grado di dettare legge in Lombardia, in Liguria, a Roma o nel nordest, in Germania, come in Australia. Una struttura con il centro nella provincia di Reggio Calabria, chiamata il “Crimine”. È questo l’asse e la vera novità – e in parte una conferma di altre inchieste passate – dell’operazione congiunta delle Dda di Reggio Calabria e di Milano, che ha portato agli arresti 305 persone. Un’inchiesta storica, con due livelli distinti di lettura: la struttura politica, centrata nei luoghi tradizionali della locride e quella economica, operativa, dove i venti locali di ‘ndrangheta lombardi avevano una piena competenza. Gli affari, i giri di cocaina, le estorsioni e il controllo delle società più importanti – come la milanese Perego – continuano nella piena disponibilità degli affiliati, a patto, però, di rispettare regole e ruoli.
«Sono quarantanni che le cose qua sono sistemate», commentava un esponente delle cosche del nord, riferendosi ad una lunga storia di presenza ‘ndranghetista nella zona di Milano. Quarantanni e una capacità ormai naturale di permeare l’intero tessuto sociale ed economico, come una sorta di parassita invisibile e silenzioso. La Lombardia – eletta al rango di provincia nella geografia mafiosa calabrese, una sorta di mandamento – è terra ricca, è terra di affari, da dove è possibile scalare gli alti gradi della finanza. Qui c’è la principale borsa italiana, qui hanno sede le grandi imprese delle opere pubbliche, dei servizi ambientali. Una piattaforma di lancio, la base di quell’impero economico che sfiora i 70 miliardi l’anno della mafia calabrese.
La ‘ndrangheta – dimostrano le inchieste – ha una marcia in più rispetto alla criminalità locale. Ed è proprio quel rigoroso tessuto ancestrale fitto di regole, che trasforma le azioni dei singoli affiliati in un unico disegno. Chi sgarra muore, chi non rispetta le regole e i ruoli è fuori, «licenziato». Così era accaduto per Carmelo “Nunzio” Novella, storico referente di uno dei locali principali della Lombardia, quello di Bollate, e punto di riferimento per i cinquecento affiliati della regione. Dopo essere stato scarcerato nel 2007 – scattò la decorrenza dei termini di custodia per un processo che lo vedeva imputato davanti al Tribunale di Velletri – iniziò a costruire una autonomia dei locali di ‘ndrangheta lombardi dalla provincia di Reggio Calabria. Una scelta che gli costò la vita, nel luglio del 2008.
Domenico Oppedisano, il reggente dell’intera struttura ‘ndraghetista, nominato nel 2009 in una riunione al santuario di Polsi, rascconta – ascoltato dagli investigatori – cosa si cela dietro le regole e i riti: affari, affari da spartire, soldi e imprese da controllare. E qui Milano diventa la seconda patria della mafia calabrese. Non c’è un limite per il business, tutto deve entrare nel controllo dei venti locali, sparsi nella zona tra Milano, Pavia e la Brianza, sull’asse portante del Pil nazionale.
Per capire la via dei soldi della ‘ndrangheta presente in Lombardia basta scorrere l’oggetto sociale della società chiave dell’inchiesta della Dda milanese, la Perego. Movimento terra, costruzioni strade, gestioni rifiuti, servizi ambientali, costruzioni di case e di palazzi. Attività che comportano un controllo ferreo del territorio – smaltire rifiuti tossici e pericolosi in discariche abusive – e la fiducia assoluta nel personale, spesso composto da altri calabresi. E quell’assenza assoluta di scrupoli che ha trasformato intere zone della Calabria in un deserto velenoso non viene meno in terra lombarda: «La soluzione che regolarmente viene escogitata per rendere più fruttuoso il lavoro è quella di violare tutte le norme relative al recupero e allo smaltimento dei rifiuti», spiegano i magistrati milanesi nell’ordinanza di custodia cautelare dedicata alla Perego. L’accusa è precisa e delineata: nei cantieri e negli sbancamenti finivano spesso amianto e altri rifiuti tossici. L’unica regola da rispettare, in terra di ‘ndrangheta, è quella disumana e crudele della locride.

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