Due giorni di camera di consiglio, 119 imputati, e alla fine una condanna netta, con pene che arrivano fino a sedici anni di reclusione. Il primo troncone dell’inchiesta “Infinito” che ha colpito gli affiliati alla ‘ndrangheta in Lombadia si è chiuso in appena un anno e quattro mesi. Un segnale fondamentale, che i magistrati milanesi sono riusciti a dare, portando buona parte degli imputati a giudizio davanti al Gup. E’ una mafia pericolosa, gelatinosa, in grado di penetrare nei pori dell’economia, della politica, della gestione – anche periferica – dello stato; una struttura militare, chiusa, determinata, che puntava decisa all’enorme affare dell’Expò 2015. Tanto potente da aver progettato per anni la scissione dalla “casa madre ” calabrese, decisione che ha portato ad una vera e propria guerra, tra affiliati leali alle famiglie radicate nelle province di Reggio Calabria e Catanzaro e gli scissionisti.
Il tempo della giustizia è il miglior segnale che poteva essere inviato alle cosche. In altre regione le cose funzionano diversamente. Nel Lazio quelle stesse famiglie condannate in meno di due anni a Milano, dopo otto anni dall’arresto attendono ancora il giudizio di primo grado, presentandosi in libertà, arroganti e sicure.
Le condanne del Gup di Milano sono state 110, cinque le assoluzioni. Pasquale Zappia, considerato il capo della Lombardia, dovrà scontare dodici anni di reclusione. Quindici le locali (zone controllate da famiglie di affiliati) individuate in Lombardia dalle indagini della Dda, confermate dal Gup Roberto Arnaldi. Oltre all’associazione mafiosa, i magistrati hanno contestato omicidi, reati in materia di armi, droga, estorsione, usura, corruzione, esercizio abusivo di attività finanziaria, riciclaggio, favoreggiamento di latitanza, ricettazione, coercizione elettorale.
Documenti: Ordinanza Infinito – Dda Milano