Pubblichiamo un’anticipazione del libro “Death factor”, che sarà disponibile su Amazon a partire dal 15 luglio (è possibile prenotare la copia già da ora).
E’ un’inchiesta che ricostruisce i rapporti tra Italia, Libia e Ue dal 1998 ad oggi sul tema dei migranti. Vent’anni di violazione dei diritti umani, respingimenti illegali, accordi – anche segreti – di collaborazione con le milizie di Tripoli. Con Gheddafi al potere, dopo il 2011, fino ai giorni nostri.
L’unico momento che ha visto l’Italia, da sola, assumersi la responsabilità per i salvataggi è stato Mare nostrum, l’operazione avviata dal governo di Enrico Letta dopo la strage di Lampedusa. Per contrastare quella scelta il governo conservatore di David Cameron crea il concetto di pull factor, il falso storico che sarà alla base della propaganda anti Ong.
Gli accordi firmati dal 1998 in poi fornirono la base normativa iniziale che permise all’Italia di deportare in Libia i migranti arrivati dal nord Africa. Il 15 febbraio 2005 dieci eurodeputati dei gruppi Pse, Verdi e Sinistra europea (tra questi anche Nicola Zingaretti, oggi segretario del Pd) presentano una interrogazione sui respingimenti operati dall’Italia: «Nell’ottobre 2004, le autorità italiane hanno respinto verso la Libia quasi 1.500 clandestini sbarcati sull’isola di Lampedusa, organizzando allo scopo un vero e proprio ponte aereo tra l’Italia e la Libia. Non ritiene la Commissione che questa operazione sia stata effettuata in violazione dei principi fondamentali che l’Unione europea si è impegnata a rispettare, segnatamente la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Carta dei diritti fondamentali e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, che vieta le espulsioni collettive, garantisce il diritto di accesso alla procedura di asilo e riconosce il principio di non respingimento?». Pochi mesi prima una analoga interrogazione era stata presentata da Umberto Guidoni, della sinistra. Il 14 aprile il parlamento di Strasburgo discute con urgenza le richieste di chiarimento e approva a maggioranza una risoluzione sul caso Lampedusa. Gli eurodeputati votano a maggioranza un testo che vede con «preoccupazione le espulsioni collettive di immigranti effettuate dalle autorità italiane tra l’ottobre 2004 e il marzo 2005 dall’isola italiana di Lampedusa verso la Libia», richiama una denuncia dell’UNHCR di pochi mesi prima, riferita all’espulsione di 180 persone il 17 marzo del 2005, ricorda il divieto di accesso all’agenzia Onu per i rifugiati «al centro rifugiati di Lampedusa il 15 marzo 2005 mentre, secondo l’UNHCR, avrebbero autorizzato l’accesso di funzionari libici», denuncia l’esistenza di un «accordo bilaterale tra l’Italia e la Libia, il cui contenuto è ancora segreto, che sembra affidi alle autorità libiche la sorveglianza dei flussi migratori e impegni la Libia a riammettere le spersone espulse dall’Italia». Un quadro terrificante. (…)

L’intervento degli eurodeputati rimane lettera morta. Non solo. Quella che fino a quel momento era la politica italiana di «frontiere chiuse» diventa un asse portante della stessa Unione europea, nonostante la dura mozione votata dal parlamento di Strasburgo. Nel Giugno 2005, il Consiglio europeo approva le misure di cooperazione con la Libia nella lotta alla immigrazione irregolare ; sulla carta l’Unione chiede alla Libia di attuare le misure per le protezione dei migranti, richiamando i principi del programma comunitario di Hague, firmato nel maggio del 2005. Nella comunicazione del Consiglio, però, non appare nessuna indicazione per gli stati membri rispetto al respingimento verso la Libia dei migranti, molti dei quali – come aveva denunciato l’UNHCR – avevano diritto alla protezione internazionale. Nessun freno viene posto alla politica italiana.
Il consiglio europeo del giugno 2005 è il passo fondamentale per arrivare, alla fine di quell’anno, alla creazione dell’agenzia europea per le frontiere, Frontex. Di fronte alla pressione migratoria la risposta concreta sarà, dunque, il rafforzamento della Fortezza Europa, la chiusura delle frontiere e l’accordo con la Libia per la repressione. Sarà proprio Frontex, come vedremo, ad avere un ruolo primario, anche ideologico, nella creazione della politica di respingimento di fatto dei migranti.
La rotta che dovrà seguire Frontex diventerà chiara nei mesi successivi. Il 30 novembre 2006 la Commissione europea invia la comunicazione «Rafforzare la gestione delle frontiere marittime meridionali dell’Unione europea» al consiglio. Bruxelles indica i due assi da sostenere di fronte ai flussi migratori: migliore gestione delle frontiere e cooperazione con i paesi terzi (tra questa la Libia). Per fare cosa? Rimane tra le righe, ma è evidente che l’esperienza italiana (realizzazione di centri di detenzione, pattugliamento congiunto e respingimenti) non viene giudicata negativamente. Anzi: il commissario europeo per la giustizia e la sicurezza all’epoca era l’italiano Franco Frattini, già ministro degli esteri del governo Berlusconi dal 2002 al 2004, ovvero nel periodo della politica di respingimento duramente condannata dal parlamento europeo. E’ durante il suo mandato di commissario europeo che nasce Frontex e che si creano le basi della futura politica della Fortezza Europa. La comunicazione firmata da Frattini punta a «rafforzare al massimo la capacità di Frontex», indicando come compito principale «l’analisi dei rischi». Di fatto una sorta di agenzia di intelligence.
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Da Mare nostrum al pull factor
Il 3 ottobre 2013, una barca con cinquecento migranti a bordo naufraga a sud di Lampedusa, con 366 vittime accertate e una ventina di dispersi. Per l’Italia, e per l’Europa, è uno shock. Il governo guidato dal premier Enrico Letta reagisce chiedendo un cambio di rotta della politica di sorveglianza nel Mediterraneo centrale. L’episodio diventa il simbolo del fallimento delle frontiere chiuse, del controllo rigido voluto da Frontex, dei dieci anni di politica italiana di frontiere chiuse. Un altro naufragio, meno noto, accade pochi giorni dopo, l’11 ottobre 2013, quando una nave libica colpisce un battello con 400 migranti a bordo. Nonostante l’intervento italiano e maltese, circa 200 di naufraghi perdono la vita.

Il 18 ottobre 2013, il governo italiano avvia la più grande azione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, l’operazione Mare nostrum. In un anno verranno salvate 150.810 persone. Nella pagina dedicata all’operazione sul sito della Marina Militare – simbolicamente rimossa nei mesi scorsi – appariva l’elenco delle unità utilizzate per il pattugliamento del mare divenuto il più pericoloso del mondo: 1000 uomini, una nave anfibia, due corvette, due pattugliatori, quattro elicotteri, un aereo, la disponibilità della rete radar costiera. Il primo obiettivo dichiarato era ben diverso dalle regole di ingaggio Frontex: «Garantire la salvaguardia della vita in mare». Poi «assicurare alla giustizia tutti coloro i quali lucrano sul traffico illegale di migranti». Non appariva la consueta formula della difesa delle frontiere, come in passato.
Dura poco.
Il 15 ottobre 2014 il ministro degli esteri britannico Lady Anelay, nominata l’8 agosto di quell’anno, in una sessione della Camera dei Lord inglese, dichiara: «Non appoggiamo le operazioni di ricerca e salvataggio pianificate nel Mediterraneo. Crediamo che queste creino un pull factor non intenzionale, incoraggiando più migranti a tentare la pericolosa traversata del mare e portando così a morti tragiche e non necessarie. Il governo ritiene che il modo più efficace per prevenire rifugiati e migranti che tentano questa pericolosa traversata sia di focalizzare la nostra attenzione sui paesi di origine e di transito, e di adottare misure per combattere i trafficanti che intenzionalmente mettono a rischio la vita mettendo i migranti in imbarcazioni insalubri» . E’ la prima volta che appare un concetto che, da lì a poco, diverrà famoso, il pull factor, utilizzato come arma di propaganda contro chiunque avesse in mente di andare a salvare le vite dei naufraghi nel Mediterraneo centrale. Il concetto è chiaro: se mando delle navi di soccorso attiro più migranti. Questa analisi, è bene dirlo subito, non è mai stata supportata da dati reali. Nel corso di una audizione davanti al Comitato Schengen del maggio 2017 il contrammiraglio Nicola Carlone, capo delle operazioni della Guardia costiera, dichiarò senza tentennamenti che «il fattore di attrazione, il pull factor, non esiste». L’analisi dei dati della stessa Frontex evidenzia che l’incremento delle partenze dei migranti nel periodo dell’operazione Mare Nostrum era dovuto alle crisi umanitarie della guerra civile in Siria e del Corno d’Africa. L’aumento dei flussi precede Mare nostrum e, dunque, la teoria del pull factor non è confermata dai dati, che, anzi, la sconfessano.

Dal principio del pull factor deriva poi la seconda accusa a Mare nostrum, quella di aver portato ad un aumento del numero dei morti, cosiddetto death factor. Anche in questo caso i dati dimostrano la falsità della tesi: nel periodo tra il gennaio e l’aprile 2014 (quindi durante l’operazione Mare nostrum), a fronte di 26 mila migranti che hanno attraversato il Mediterraneo centrale, i morti sono stati 60; nel periodo tra gennaio e aprile 2015, con un numero di migranti salvati nelle acque tra Italia e Libia simile, i morti sono stati 1687. Mare nostrum era già stata chiusa, sostituita dall’operazione Triton con diverse regole di ingaggio. E’ dunque vero il contrario: l’operazione di salvataggio del governo italiano aveva drasticamente ridotto i casi di naufragio letali. Il vero death factor è il messaggio che la politica frontiere chiuse vuole mandare ai migranti: sappiate che nessuno vi salverà, che rischiate di morire.
Con l’operazione Triton il tasso di mortalità per i naufraghi passa da 2 ogni mille a 60 ogni mille. Il picco assoluto dei morti si avrà nel mese di aprile 2015 (1480 nel Mediterraneo, dati Missing migrants OIM). Nel 2019 (dati aggiornati al 4 luglio) i morti nel Mediterraneo centrale sono stati 474, dato probabilmente sottostimato, ma che se rapportato al numero delle partenze – molto più basso – mostra un tasso di rischio di morte altissimo. Tutti i casi di naufragio letale sono avvenuti nell’area della SAR libica, le cui operazioni di ricerca e salvataggio sono gestite oggi esclusivamente dalla Guardia costiera di Tripoli, finanziata e formata dall’Italia. Un dato che mostra, drammaticamente, l’assoluta inefficienza di questo corpo militare.
La pressione a livello europeo – silenziosa, mai apertamente dichiarata – porta il governo italiano a chiudere l’esperienza di Mare Nostrum il 31 ottobre 2014 (governo di Matteo Renzi).